Confesso: VMO sono io. Io
sono i sardi. Fino alle 16.30 di lunedì 10 ottobre, data per la quale è
fissata un’altra confessione. Attendo la tempesta con la coscienza netta come
il culo di un santo digiunatore: non potendo aspirare ad una santità intera, mi
compiaccio del suo deretano. Del resto, si doveva intuire: ma non è più tempo
di rompicapi. Ho osservato con un certo sollazzo la lotteria VMO su
lipperatura, 168 commenti in cui, per lo più, si asserisce che l’argomento VMO
sia di nessun interesse: più o meno come andare a pisciare con la tromba.
Del resto, chi poteva avere il coraggio di difendere Tiziano,
in maniera del tutto acritica, se non una persona che segretamente ne ha fatto
un totem? I suoi libri sono i miei feticci, ho sempre Tiziano in borsa, Tiziano
in tasca, Tiziano ovunque, persino nella scatola dei preservativi (di cui non
faccio grande uso, ma ai novellisti dei cazzi miei riferirò in privato). Non
basta, non è finita: li amo tutti, li prendo in blocco, li sposo, atterro i
nemici, o soccombo per sempre: o vinco o m’inabisso. Si è parlato, del tutto a
ragione, di battaglia: non si
mentiva, ma si dovevano ancora schierare gli eserciti.
Da “Pasolini contro Calvino” mi si è accesa la lampadina:
una supernova, per la precisione. “A differenza di Calvino che inventa di volta
in volta modi diversi per giocare dentro
la sfera estetica istituzionalizzata senza mai metterne in discussione i
confini, Pasolini varca continuamente quei confini stessi, facendo, per così
dire, la spola tra i due versanti” [Carla, naturalmente]. Questa non è, come
può sembrare, critica letteraria: è una dichiarazione d’amore, è sensualità
della parola, intelligenza de-convenzionalizzata e raffinata al solo scopo di
eccitare, non certo i neuroni. Su Moresco ho finto, ho mentito, serviva. La necessità
politica mi imponeva l’impostura: mi son fatto Machiavelli per una buona causa*,
ma è venuto il momento di far chiarezza. La facondia dell’aedo genera sempre
invidia, gelosia, malevolenza: si è visto di tutto, si è scritto di tutto. La
verità è che Moresco è il bisogno
ancestrale della parola di cacarsi da sola, e la mano si fa strumento, come
nella più prosaica versione dell’artista-strumento di chi cazzo lo sa: questo
fatto elementare, prima di tutto, lo rende insopportabile. La verità stessa è
insopportabile, ma questa è l’inammissibile verità. Anche durante le
masturbazioni soggettive, l’Autore tocca un lirismo icastico che, attraverso un
patetismo mimato, senza alcun preziosismo formale (ne sarebbe incapace, del
resto) lo accompagna nel discreto inferno degli scrittori maledetti, in
compagnia di Celine, di Beckett, di Kafka (un po’ tutti): e quindi lo si
maledice, fraintendendo del tutto la sua ambigua condizione e il suo insuperato
talento. E’ giunto il momento di dare a Moresco ciò che gli spetta (e non solo
Carla, e neppure Tiziano): lo scriba s’è fatto artista, l’ossessionato
selvaggio ha conosciuto il mondo civile, che lo ha accolto con riserva. Adesso,
come totalità linguisticamente sviluppata
(seppure totalità infantile, come qualcuno non manca di rilevare)
l’Autore
reclama un posto nella storia della letteratura, trenta centimetri di
mensola,
e possibilmente una verginità politica. Tutto il rumore, disgustoso e
inutile,
attorno ai nomi di Moresco, Carla e Tiziano, ha il solo scopo di
procurare
l’ostracismo del genio. E’ questo, innanzitutto, che mi lascia
perplesso: siamo
così sicuri di poter fare a meno dei nostri numi letterari? Ce lo
possiamo
permettere? In nome di che? E’ solo con la transizione su un altro
piano di discorso
che si può indovinare la risposta: l’industria letteraria non vuole
soltanto
prodotti, ma vuole prodotti con un certo marchio, prodotti
confortevoli, artigiani accomodanti, lucidi ufficiali dello status quo:
non un solo partigiano del mio diletto drappello può e deve
piegarsi a questa logica. Carla s’è data un mandato intellettuale e politico
che non ammette compromessi (Fanucci? Ci deve essere una spiegazione anche per
Fanucci: basta con gli strali moralisti dei volenterosi e sterili campioni del pop!)
Sospendo qui, per ora: ho bisogno di riflettere. Dalle 20.30
fino alla mezzanotte sarò di nuovo VMO, in ogni caso. Qualcuno si occuperà
della vacatio regis 16.30-20.30
* Poi, ad essere precisi, Machiavelli non c’entra nulla, ma
il luogo comune vuole che il suo nome sia associato agli atti pubblici delle
peggiori canaglie, e io non voglio certo mettere in discussione il luogo comune, perché nel luogo comune
vivo, da plebeo felice, cavallerizzo di un’avanguardia in fieri che si farà
carico di riportare la letteratura alla purezza del suo scopo (?).
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