(le lettere pubblicate in questa categoria sono vere)
Cara Lore,
se comprendere è agire, devo credere che con le risposte
estetiche si siano buggerati i secoli. Ma tra pensiero e azione c’è una lacuna:
lì dove si indugia puoi scommettere su un’impostura socialmente accettata. Tu
scrivi: “Perchè, avendo a disposizione una delle tecnologie potenzialmente più
democratiche mai esistite, nella stragrande maggior parte dei casi la si
utilizza non per creare una nuova (sì, lo scrivo) estetica, ma per conformarsi
al (sì, lo scrivo) mercato?”. Ricordi i tempi della restaurazione, ricordi
l’ultimo congresso di Vienna? (Torino, 2005) Discorsi interrotti troppo presto.
Non c’era alcuna restaurazione in corso, e non c’erano fantomatici poteri
occulti, i burattinai dell’editoria. In anni di probabile democrazia (qualche
incertezza c’è) la restaurazione è un cencio nelle mani di spaventapasseri che
prosperano nella solitudine: nessun pericolo. Ma una forma poco occulta di
“conservazione” c’è, non dilaga, non fa rumore, non sbarca dai cieli ma
proviene dal basso, ed è una diffusa volontà di omologazione all’esistente, per
abusare di quelle briciole di filosofia disseminate nelle teste sbagliate. Ho
seguito, alquanto in disparte, l’infinita polemica su un fantasma, il modello
Wu Ming (il fantasma è il modello, certo non Wu Ming): non ricordo niente di
simile, non ricordo una tale “sollevazione dal basso” contro un autore che,
certamente, non è un menestrello di corte. Qualcosa non va, e mi viene in mente
di scrivertelo prima di un secondo capitolo che vivo come un’ingiustizia prima
ancora che come storia. Per chi, dunque, mi chiedo: per chi scrivere, se quelli
in cui spero scelgono lo scettro del giullare? Ma la mia è bassa ragioneria
dell’esistenza. Si scriva, dunque, ma la domanda resta. Per dovere, ho scelto
di non essere pessimista, per principio non posso presumere troppo, ma per
esperienza non voglio essere del tutto cieco: come riciclare i calci in culo
senza convertire il dolore in una fasulla voglia di vivere. Ti sembrerò un po’
oscuro, me ne rendo conto. Il problema è questo: c’era il tempo degli oppressi
e degli oppressori, in ogni paese civile, visto che il concetto di civiltà
cambia con la storia. Adesso gli oppressori si chiamano Stati Nazione, e così
gli oppressi. Non ci sono più i cattivi, ma grandi concentrazioni di cattiveria,
volendo utilizzare le categorie di Cappuccetto Rosso. La conventicola
letteraria, il nuovo salotto di cui si ciancia, non è inconcepibile, è
semplicemente impotente, come dimostrano i fatti. La conventicola si spazza via
con le idee. E’ il pessimismo, tuttavia, che piega le ginocchia degli aspiranti pensatori,
degli aspiranti scrittori, degli assurdi cavallerizzi di un’estetica
inesistente, quell’estetica che ti aspetti ma che intravedi raramente. Sono
deluso, cosa ti aspettavi, te l’ho già scritto. La tecnologia, qualunque
tecnologia, crea una diffusa condizione di privilegio in cui si distende la
groppa ma non si perde tempo: il motivo per cui, data una la disponibilità di
certi mezzi, i mezzi non vengono utilizzati, è probabilmente la stessa lacuna
tra pensiero e azione. Serve la volontà di fare, che si configura come
“pensiero della fatica”. Il mancato artista, il mancato scrittore diventa
nell’ozio complice di un passato di servitù intellettuale: l’uomo affrancato è
completamente inetto se non sa cosa farsene della propria libertà. Ovviamente, questa
è una semplificazione: c’è una parte di poemetto bucolico e qualche quintale di
frustrazione, e manca un’analisi puntuale.
Ci penso e ti riscrivo,
Tuo Iv
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