Sarà riesumata la salma della verità. Non servirà a nulla. Ecco finalmente lo storico annuncio, una di quelle occasioni per cui si sciupa la parola epocale, il senso del nulla visto con l’occhio lungo della storia, ossia il patto tra i morti di ieri e i morti di domani. Il velo è stracciato, il dolore è finito, il sangue è bevuto: si muore, ma senza l’aria da melodramma. Dunque, mentre scrivo aumenta il numero dei morti: la famiglia li piange, la bara li coccola e la morte fa semplicemente la morte, l’attività spregevole e doverosa di allungare la mannaia. Ci fa così orrore che per tutta la storia della letteratura non facciamo altro che rappresentarla in posa antropomorfa, una donna vestita di nero e abbigliata come un albero di natale: come piace a lei, che ha cominciato a recidere teste dai primi istanti del mondo, quando il paradiso terrestre si dimostrava un fallimento ed i precipitati iniziavano ad aspirare alla medaglia d’oro dell’eternità. Ci accompagna così, nobili decaduti del cielo, nelle zone in cui il culo brucia o in quelle in cui si raffredda e riposa. Secondo la ridicola versione di chi ritiene, per religiosa aberrazione, che morire sia come traslocare verso l’Alto o verso il Basso e nell’imminenza del trasferimento giunge le mani o si inginocchia alla sua Mecca.
Per chi dubita dell’aspetto scientifico della religione, della sua capacità di far previsioni sulle sorti dell’umana carcassa, resta la convinzione che l’angoscia sia l’unico senso, per nulla profondo, e che ciò che seguirà alla morte di uno sarà soltanto la morte di un altro; con la lacrimevole speranza di essere almeno surrogabili: e di avere l’angoscia ad un prezzo competitivo. Leggi qui il mio sorriso disperato, per nulla diverso da quello di un pagliaccio che reciti sotto tortura. Uomo e menzogna è un antico amore che trova sempre nuove conferme, i miei amici lo sanno.
Cosa ci aspettiamo. Noi che scriviamo; gli inconsolabili, i discoli dell’esistenza che vorrebbero sempre di più e non fanno altro che distribuire a piene mani l’umore nero in cui impegnano l’opera di una vita. E' solo una visione barocca di una stupidaggine contemporanea, gli stessi disperati sono lestissimi a vendere culo e coerenza per una buona claque, e a disperare in tempi futuri.
Tuttavia. Non c’è niente che non sia qui, ed anche qui non c’è di che dichiararsi soddisfatti. Un uomo può cullarsi nel dopo tanto quanto un elefante può promettere di volare tenendosi appeso alle proprie orecchie. Nulla lo vieta. Il sangue è bevuto: seguiranno altri morti, altre cronache addolorate, altre lacrime nel gocciolatoio; i solenni fasti di una marcia funebre, un mucchio di parole su un mucchio di ossa. Onore all’antica astuzia: dimenticare per vivere. Ecco il velo, era uno straccio.
pezzo tiratissimo.
'un mucchio di parole su un mucchio di ossa' mi ha costretto alla libreria per verificare la prima edizione degli Ossi di seppia montaliani, che pensavo del '27 come Essere e tempo (invece è del '25... maledetta smemoratezza!).
Posted by: kristian | January 19, 2006 at 07:10 PM
Non è una citazione...(se non di me stesso)
Ricordo che qualcuno l'aveva letta nel modo sbagliato.
Posted by: ivan roquentin | January 19, 2006 at 07:58 PM
anche scappare, non è male
Posted by: p.s.v. | January 20, 2006 at 12:56 AM
p.s.v.: sei telepatico oppure l'ho scritto in qualche posto?
Posted by: Ivan Roquentin | January 20, 2006 at 12:15 PM