(ripubblico sul mio blog perché, per l'ennesima volta, il pezzo è stato citato a distanza di mesi, qui; per favore, non chiedete nei commenti se e quando verrà pubblicato il libro, grazie)
Si può dunque nascere da un mezzo dio e da una mezza cagna, per poi sentir raccontare strane favole su quel giorno in cui un re e una ninfa si davano alle nozze, sicuri del loro destino da favola e del mio da puttana. Qui la cagnara finisce in leggenda e allo stesso punto inizia a parlare Cassandra, ma non si può fare a meno di notare che quei cento e passa figli di Priamo una donna o un altro animale infelice deve averli partoriti; a loro volta infelici e solenni, così come ci si aspettava dal goffo bordello riproduttivo escogitato da Priamo, dalla maestà stemperata e sbilenca della madre e dall’unanime tripudio di un circondario di becchi. Che un certo malcostume, unito ad un certo strepitare, fossero all’inizio della candida fanciullezza di Cassandra e delle sue fiere cavalcate a dorso dei Troiani, è un segno sicuro della barbarie che la doveva portare a spasso per le stanze da letto di innumerevoli divinità, coltivate come un passatempo e trattate come altrettanti scendiletto.
Giacché ognuno tende a farsi un’opinione di tutte le cose per cui non sia espressamente richiesta alcuna opinione, e giacché in quel tempo l’intera Troia si serviva del tempio dell’oracolo come dell’anticamera del dio e della logorrea come di un’epidemia divinatoria, non v’era in giro un solo saggio o un solo maestro del sudest che non vedesse in ciò anche l’accenno della futura rovina di Troia, nelle mani di una cortigiana un po’ sgualdrina. Priamo, a quel tempo, era già un vecchio re grottesco e sfaccendato; che giurava di essere meschino e manteneva le promesse; che puntava direttamente all’immortalità piantando per la città le carcasse dei figli, dei sudditi, degli schiavi, e aspettando che crescessero; e quando invece diminuivano troppo in fretta c’era Ecuba, che stava lì per questo, nella sua bella camera d’accoppiamento, sfamata e dissetata come una regina, oppure come un verro nella stalla dei porci.
La rovina doveva arrivare, ma non per la facile strada che si immaginava.
Può dunque accadere di osservare per caso questa cortigiana, che si è fatta all’ombra Apollo e del suo gineceo, mentre esce dalla santa e ripugnante dimora del dio, tra una funzione e quel qualcosa di più basso e riservato che ogni tanto Apollo pretendeva. Così la incontrò Enea e vide bene che quel gineceo era un lupanare; ma poiché tutto questo è amore, non badò molto alla ghirlanda di sterco che lo circondava. Sputare, bestemmiare e scrivere entrambe le cose. Finalmente scriviamo qualcosa.
Cassandra a trent’anni era già più vecchia di me, il padre di Enea, come amavano chiamarmi, e a trent’anni una vecchia profetessa aveva già indovinato quelle due o tre cose fondamentali che l’avrebbero incoraggiata a prendere le sue decisioni, che non le erano richieste e che l’avrebbero portata a conquistarsi rapidamente il disgusto di tutti coloro che, fino ai suoi vent’anni, l’avrebbero voluta come moglie.
E che una tale moglie potesse trasformarsi in una vacca di tutto punto, da
ripudiare e mettere a tacere, sembrò da principio un altro segno. Ogni cosa
nelle mani di questa consorteria di minchioni era un segno di qualcos’altro e a
nessuno importava che da Cassandra non bisognasse più trarre indicazioni che
andassero al di là delle sue sporche intenzioni. Il tempo in cui i suoi oscuri
ammonimenti erano al servizio di un padre incapace stava scadendo, e stava
cominciando il bel giorno delle inutili cantilene. Proprio a questo punto
Cassandra mi ha confidato di essersi accorta del suo dovere di donna. Un modo
per dire che le sue intenzioni, che non piacevano a nessuno, erano legittimi
desideri che piacevano a lei; che riguardavano mio figlio, me in qualche modo,
qualche donna su cui non si soffermò e generalmente tutti quei troiani che
sarebbero finiti male; cosa inaudita, riguardavano pure i Greci, attaccati come
mignatte alle nostre mura di cinta. Gli uni e gli altri avrebbero preferito che
tacesse. Perché si deve dire che c’era a quel tempo, in quel luogo, una
sgradevole simmetria tra il matrimonio e il silenzio, tra i riti e la morte, tra
il cielo e la terra: in definitiva, tra specie diverse d’inganno che i costumi
di questi poveri becchi, questi troiani smaniosi di vergini, avevano
disciplinato e concertato, permettendo l’adulterio agli dèi e alle puttane, e
riservando a tutti gli altri una noia assoluta. Tutte queste prescrizioni con il
nome della purezza e il marchio dell’idiozia, che a quel tempo era la più alta
carica dello stato, hanno permesso a questo popolo di arrivare fin qui
completamente a digiuno di puttane e di numi protettori. Invece, in guerra,
servono gli uni e le altre. Si dice che, quando viene il momento di lottare,
allora lo spirito di un popolo si riaffaccia e quel popolo avrà tante più
speranze quanto più giusti sono stati i suoi costumi. In questo caso i troiani,
che hanno disseminato la storia di spocchia e di seducenti parabole, non avranno
altra speranza che l’inganno. E così pure i Greci.
Bisogna scrivere sempre,
non c’è altro da fare. Muoversi e bestemmiare di nuovo. Ci torna la voce, la
mano si muove; si parla, più basso, si bestemmia, più piano, si scrive, peggio.
Si vive così.
Comments