di Francesco
Mi guardo bene dal credere di poter risolvere o spiegare il rapporto
psicologico e culturale che legherebbe il concetto di denaro alla
sinistra con un post, ma è da alcuni giorni che ci si interroga su di esso
e sulla presunta diversità che ne discenderebbe per la sinistra.
Al di là della strumentalità nel porre problemi metapolitici in luogo di quelli
politici che dovrebbero interessare milioni di elettori, avendo io
molti, ma molti meno lettori di quei milioni, posso anche perdere
un po' di tempo per tentare di chiarirmelo e anche contribuire
a sfatare il mito della semplificazione moralistica con la quale si cerca
di definire quel rapporto.
Non dispongo di sondaggi o di ricerche in merito, perché non ne conosco, né di
testi, perché non ve ne sono.
La traccia di questo post è puramente speculativa, frutto di ragionamenti e di
esperienze concrete. Però, fino ad oggi le spiegazioni fornite da vari commentatori della questione,
forse per una recondita responsabilità del linguaggio televisivo e della
stampa (attuale) mi hanno soddisfatto poco.
Non credo, intanto, che la questione si possa porre (tanto meno esaurire)
considerando la pura e semplice dimestichezza con il denaro, come proveniente
da un'attività economica piuttosto che da un'altra (Scalfari a Ballarò). In
quella dimestichezza sembra prendere corpo un giudizio sulla
spregiudicatezza che ne seguirebbe nel considerarlo un fine e non un mezzo; il
denaro in realtà da tempo tende a esistere sempre
meno e a incombere come una qualità spirituale, quindi per sua
"natura": sacra (con i sacerdoti che ne officiano i riti e ne
comprendono le recondite quintessenze) e pervasiva (perché, almeno in teoria,
disponibile per tutti e indispensabile).
Neppure si può partire dal presupposto di un atteggiamento
benevolo (o addirittura "laico") inculcato a certe categorie
sociali, che troverebbe radicamento nell'etica capitalistica tout
court con tanto di basi puritane e protestanti (seppur importanti),
di cui la destra in Italia beneficerebbe, per proprietà transitiva. L'etica
protestante serve a spiegare molto, ma non tutto, del vigore economico di
popoli diversi dal nostro, e non può far velo alle esperienze con il denaro delle
cattolicissime prime banche italiane (dai Medici ai Bardi, fino ai
Peruzzi) che tanta parte ebbero nel fondare il capitalismo
mercantile nel Basso Medioevo; e tanto meno, per fare un
esempio, può farci dimenticare la prima rappresentazione legale
del denaro tutta "made in italy", dell'invenzione della cambiale.
In realtà se c'è una caratteristica che ho visto emergere in tutti questi
anni nei capitalisti italiani spicca la loro fisonomia di grandi mercanti,
piuttosto che di grandi imprenditori.
Tra l'altro, le documentate contestazioni nell'attribuire merito a
quell'etica, nel dare spiegazione del vigore economico di un popolo, di
un'etnia o di un gruppo sociale sono state recentemente proposte da Ami Chua nel riferire del dominio plurisecolare
della minoranza cinese (lontana anni luce da puritanesimi e calvinismi) sulle
economie di Malesia, Filippine, Indonesia, Vietnam, Birmania e
Singapore, accostato alla tradizionale e millenaria
"apatia" economica dei cinesi rimasti in patria.
Invece, il denaro è sia mezzo che fine, è essenziale al capitalismo,
agli individui, ai gruppi, ma li precede tutti geneticamente, e da
sempre il suo valore meta-simbolico consente il trasferimento di identità
e valori. E' della borghesia l'apoteosi del denaro, perché grazie ad esso
finalmente si è potuto misurare universalmente il valore della cose
strappandolo alla speculazione filosofica o sapienziale (Simmel). Ma se questo perde consistenza a vantaggio della sua pervasività (e sacralità)
il discorso cambia.
In generale, la sinistra basa la sua critica sull'insufficienza del valore
economico per deliberare il valore delle cose. Non dubita del suo
formarsi, ma del suo valere veramente quello che vale. Al proposito
sottopone a esame il mercato, l'economia e il denaro e distingue, mettendo al
centro i bisogni dei cittadini, compresi quelli che il mercato non può
soddisfare. In generale, la
destra a questo argomento risponde con il mercato e si appoggia alla
visione del denaro come universale.
La sinistra
può abbracciare palingenesi politiche, positive visioni della storia o
più modeste (si fa per dire) riforme
del capitalismo, ma l'incontro con il denaro non può essere eluso.
L'incontro
è drammatico, come deve essere. Se il
denaro non è un universale, allora significa che il denaro è plurale e gli attori del
dramma sono, pertanto, positivi o negativi. Nell'epoca del denaro
transustanziato nelle autostrade informatiche, relegato a valore fluttuante
e ad essenza spirituale, per contro, ribadire il concetto
"borghese" del denaro significa dire che il denaro ha perso la sua
natura di misura del valore delle cose, per assumerne uno che lo fa diventare
universale perché pervasivo e sacro.
La
velocità, e il suo relativo, la parziale visibilità, provocano una schizofrenia
che produce a livello generale una sorta di
ingiudicabilità dell'uso del denaro. Una specie di fatalismo che nel
paradiso delle imprese sommerse, nel paese della mafia e delle camorre bianche, in una fase di crisi
economica accentuata, crea al denaro più possibilità di diventare un fine, invece che essere
considerato come un mezzo.
Essendo
il denaro, nella contingenza, sempre meno disponibile, fenomeni di invidia
sociale possono essere più frequenti e anche domande a proposito del
valore delle cose, è assai più difficile che vengano poste con
criterio.
La
sinistra non ha cambiato nel corso della sua storia il criterio di
valutazione del denaro, che è essenzialmente problematico per lei, come deve
essere. Non aveva, infatti, bisogno di modificare niente del suo tutt'altro che
semplificato patrimonio di idee al proposito. La sinistra, per
costituzione, poggia le sue tesi politiche e sociali sulla struttura
dell'economia nel suo insieme e considera il denaro per lo più come un mezzo,
assegnando ad esso un ruolo e delle regole preventive.
A
sinistra ci sono almeno tre modi di considerare il denaro per il valore
che ha rispetto alle persone che lo detengono.
1. Nella sua pluralità, il denaro proprio, inteso
come disponibilità privata, non è mai stato oggetto dell'interesse della
sinistra italiana. Il vecchio e frusto detto: "quel che è mio è tuo, quel
che tuo è mio", confonde i mezzi di produzione con quelli di sostentamento
e appartiene a una vulgata ideologica degli avversari della sinistra
e del suo moralismo. E' assolutamente vero che la sinistra italiana
ha sposato la frugalità di matrice cattolica e l'ha fusa in un costume (catto-comunista)
che fino alla fine degli anni '80 ha trovato modi diffusi di
applicazione. Un esito questo molto più rispondente alla composizione
sociale della sinistra e alla società di allora, che non il frutto di
una mentalità invisa al denaro.
2. Avendo la sinistra (ovunque, sebbene con metodi assai
diversi) operato affinché lo Stato diventasse una macchina a favore della
redistribuzione della ricchezza lo ha con-fuso con la collettività e
il suo bene. Il denaro pubblico (cioè di tutti, ma indisponibile
a ciascuno, e anche il proprio e perciò identitario
del modo di intendere il denaro di tutti: leggi se vuoi, movimento
cooperativo) ha riempito la riflessione sul denaro tout court nella
mentalità, nelle pre-occupazioni e perciò nel linguaggio della sinistra,
fino a diventarne il paradigma culturale e provocando alcuni dei ben
noti cortocircuiti intellettuali.
In poche parole: il denaro assunse maggior dignità se pubblico,
minore se privato. L'equivoco di questa posizione
diventa chiaro, se si pensa al luogo comune che ha generato e che viene
inflitto con un moralismo di infimo grado a chiunque sia di sinistra e
benestante (o voglia diventarlo per sé). Secondo quel modo di dire, per
essere coerente, chi sta a sinistra, dovrebbe essere povero e
desiderare la povertà per sé (e, quindi, per gli altri).
Dopo aver immaginato lo Stato come elemento cardine della vita sociale e
individuale e preso atto oggi della sua impossibilità a tenere il passo
del denaro superveloce e dell'economia che ne sorregge le sorti, la
sinistra è rimasta senza denaro. Oggi, più ancora di prima, il
denaro pubblico assume il "giusto" valore residuale a destra, mentre
ancora la sinistra conserva un pensiero forte nei suoi riguardi. Il denaro
pubblico ha un fine più elevato, perché può, se ben impiegato, sanare
un'ingiustizia, mentre quello privato è per definizione indisponibile e quando
entra nel circuito economico lo fa prima di tutto per un profitto individuale o
di pochi. Così, quando il denaro e l'attività che ne discende identifica in
qualche modo la sinistra, questa pone a chi adopera quel denaro obiettivi etici
e politici simili a quelli pubblici. Ma questo appare, oggi più di prima,
incomprensibile e parzialmente spiegabile.
3. Non ho prove, se non empiriche, ma credo di poter dire con
una buona dose di certezza che il denaro degli altri, cioè
disponibile per gli altri, ma indisponibile per se stessi, fa parte
delle riflessioni e delle invidie individuali tanto di
chi si sente o appartiene alla sinistra quanto di chi si sente
o appartiene alla destra. La differenza passava fino a
qualche anno fa nelle soluzioni che le due sensibilità davano alla
propria invidia o riflessione. Escludendo la serie di risposte
possibili che vanno sotto la forma del reato, a destra si faceva leva
sull'imitazione (dalla creazione d'impresa all'ammirazione
sottomessa), a sinistra sulla giustizia distributiva (dall'esproprio,
fino all' equa redistribuzione). Oggi, questa distinzione
(che descrive l'approccio ideologico e anche culturale al mezzo
e non intende definire in alcun modo la storia dell'economia di un paese, di un
partito o di singoli gruppi, ma solo la diversa sensibilità nei
riguardi del denaro altrui), per effetto del nuovo modo
di essere del denaro, e perciò della nuova economia, è ormai estinta.
Conclusioni. Alla sinistra (italiana) non può essere rimproverato di avere un rapporto insufficiente con il denaro. Semmai è vero il contrario. La "diversità" rispetto alla destra sta nella considerazione del denaro come un plurimo anziché come misura universale del valore delle cose. Il modo di approccio alle diverse formazioni e identità del denaro rispetto a chi lo possiede genera un'inevitabile serie di percezioni intellettuali e contraddittorie sul valore delle cose, proprio mentre il denaro intende risolverle ispso facto. La scarsità di denaro disponibile favorisce, infine, la semplificazione del discorso su di esso e anche sui suoi detentori. Laddove la sinistra complica e usa il rasoio per distinguere il positivo dal negativo, la destra che si impossessa del significato di denaro e lo traduce come mercato e disponibilità affluente, in un momento di grandi difficoltà economica e di grandi scelte ha dalla sua uno strumento sacro, simbolico, pieno di giustizia in sé.
Grazie per averlo pubblicato
Posted by: francesco | January 18, 2006 at 05:46 PM
Beh, non è male. Meglio di tanta fuffa che si è sentita in giro.
Posted by: roberto | January 18, 2006 at 11:18 PM
Pezzo molto arguto, Francesco...
Posted by: Ivan Roquentin | January 19, 2006 at 06:16 PM
Grazie, ivan
Posted by: francesco | January 20, 2006 at 12:24 PM
per chi vuole:
http://www.millepiani.net/archives/2006/01/22/la_sinistra_il_denaro_georges_bataille.html#more
Posted by: millepiani | January 22, 2006 at 07:22 PM