Questa vita è di nuovo decente, mentre s’ingozza il popolo di arditi concetti, e io sono il popolo, sazio da vomitare, disgustato al punto giusto, consapevole delle mie valigie da ridere: le preparo ogni mattina per disfarle ogni sera. L’ossessione merita rispetto, la ripetizione è la sua prosaica bagascia, ma si tratta di astuzie intellettuali per mediocri individui compromessi con la signora morte, retorica versione di quella larva in costume da castigamatti, armata di batacchio e di falce, che spicca le teste senza badare ai volti (tremenda matrona!): una retorica solo più patetica e ingegnosa dell’altra. La scelta più saggia è che io vada via: fuggire. E’ anche l’unica possibilità, una semplice questione di sopravvivenza. Prima di tutto, vogliamo vedere l’uomo piangere, vogliamo vedere la sua angoscia, vogliamo lastricare la sua pena con i bei cippi della letteratura, una lacrima e un romanzo, una poesia e un tumore al fegato: l’angoscia è la materia prima con cui voci dissonanti si esercitano sui fogli, e poi sui figli. Uomini immersi in fiumi di inchiostro non si accorgono di galleggiare in quella fogna insanguinata che chiamano affettuosamente mondo. E mondo sia, ma a ben altre condizioni. Dunque, ho pianto. L’angoscia venne dopo i primi sacramenti, perché al padreterno non si chiede più di manifestarsi ma di vegliare sui vivi: e questa forma di vigilanza ottusa porta le stimmate di un’imbecillità che, in cielo come in terra, mi risulta intollerabile. Dunque, ho letto. Probabilmente il mio primo eroe fu un farabutto, Ulisse il ramingo: ne seguirono altri, le peggiori canaglie che la biblioteca di bambino potesse ospitare. Avrei voluto l’arte di Circe, per tramutare i miei compagni in porci, finché non mi accorsi che tutta l’innocenza della giovane età non impediva loro di sguazzare dentro un letamaio: non avevano bisogno di alcun genere di miracolo per diventare ciò che erano già. Dunque, ho scritto. Molto e male, perché la mia mente è un luogo sinistro, il mio cuore non è affatto ferito, e soltanto il culo non è perfettamente sano.
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