E’ infatti certo che vivrò fino alla fine. Berrò l’amaro calice, alquanto illustre, fino a leccare la feccia: ho la lingua d’acciaio e il cuore di spugna, o così mi piace raccontare. Chi mi crederà? Non sono affari che mi riguardano. Ma qualcuno singhiozzerà! Bene: che spanda pure le sue fontane fino all’ultima goccia, la questione del lutto sarà tutta sua. Io posso solo rappresentare me stesso, costretto dentro questo carcame che, a memoria mia, non mi sembra d’aver scelto. La parte infame mi è stata data, non so da chi: l’anima e il corpo: più verosimilmente solo il corpo, perché nutro il forte sospetto che l’anima non esista, se non per le teste bacate che rifiutano l’evidenza di appartenere ad una specie diffusissima, discendente di specie meno tronfie ma più pelose, tutto qui. Dunque il mondo è solo un rottame? E io che ne so. Io non so niente di niente, e posso solo domandare. E domando, perdio, perché sono un uomo ostinato, un fissato del fallimento, un maniaco dell’assurdo. Sono attratto da tutto ciò che è logicamente inammissibile e, per quanto l’idea di un dio protervo e incazzoso mi faccia schifo, sono attratto pure dall’invisibile. Attratto, ma tentato mai. E’ ovvio che io viva fino alla fine, come non potrei: ma cosa sia la fine, non lo so. Un graffito nella coscienza di un altro, ho sempre sperato, tanto per travasare un mio segno in un individuo altrettanto spregevole e logorroico. Si parla: di alcuni argomenti si parla di più, di altri molto di meno. Quante chiacchiere attorno alla testa di un re, quando quella testa era sul punto di rotolare? Quante attorno al pezzente che quel re, sdegnosamente, rifiutò a corte? Figuranti: immagini distinte nella mia mente. Io ero il pezzente, nobile di qualche cencio; io sono il miserabile nel 2005, perché la mia disperazione è infinita come la pietà di quei santi che la rifiutano per principio: il futuro è tutto loro; un brandello di passato mi appartiene: un avanzo, l’ennesimo straccio. Mi vesto così come scrivo, e scrivo così come vivo. Mi sembra che qualcuno sorrida: fa bene, deve farlo, non gli resta che l’allegria d’esser vivo, un’insignificante ebbrezza, lo stordimento dell’ora o mai più.
Il linguaggio del tuo narrare saltella dall'aulico al triviale e viceversa.
Posted by: Simone | November 03, 2005 at 06:12 PM
il linguaggio del tuo narrare non saltella per niente. è fermento, coltello incandescente.
Posted by: ale | November 04, 2005 at 03:50 AM
Forse Simone intendeva parlare di cambi di registro.
Però sono d'accordo con Ale, in effetti ho un mio registro insolito, e soprattutto sul blog, dove lascio frammenti e appunti, la forma è NON rielaborata, per cui può apparire strana (forse). Ma lo dovete stabilire voi, non io...
Posted by: ivan roquentin | November 04, 2005 at 01:28 PM