(una premessa a "Considerazioni intorno alla "Dichiarazione dei diritti e delle responsabilità dei narratori", di Wu Ming, che pubblicherò in tre o quattro parti nel corso della prossima settimana.)
“Ma dopo il 1850 non fu più possibile dissimulare la contraddizione profonda che contrappone l’ideologia borghese alle esigenze della letteratura. Circa in quegli anni un pubblico virtuale già si profila negli strati profondi della società; e già si attende di essere rivelato a se stesso. La causa dell’istruzione gratuita e obbligatoria ha fatto grandi passi: presto la Terza Repubblica consacrerà il diritto che hanno tutti gli uomini di saper leggere e scrivere. Che cosa farà lo scrittore? […]”
“La solitudine dell’artista è doppiamente falsa: dissimula infatti non solo un rapporto reale con il grande pubblico, ma anche il ricostituirsi di un pubblico di specialisti.” (Che cos'è la letteratura, di Jean Paul Sartre)
La seconda citazione va benissimo per ieri e per oggi: l’artista è solo, ma è solo nel mito di un mondo che intende la letteratura come una vita monastica; un mondo che si divide tra salotti e conventicole; lo scrittore riconosce sé e i suoi simili e aderisce senza patimenti a un misticismo per procura, molto spesso dietro suggerimento di un altro membro della confraternita, arruolato come lui. Scrive per se, per gli avi, e per la schiatta, e del presente non si gloria, anche perché non ne avrebbe modo. Abbandonato, gode dell’abbandono, che vede come il chiaro sintomo di un genio negletto, un cacciato, un esiliato. L’umanità dei vivi è, senza alcuna eccezione, tutta quanta colpevole, e lo scrittore si può, con soddisfazione, intitolare maledetto.
Leggevo nei giorni scorsi, su lipperatura, delle osservazioni intorno alla condizione del lettore e le repliche di Wu Ming ad alcune contestazioni del “modello Wu Ming”, che si è presto rivelato inesistente. Il successo di Wu Ming non è la ripetizione o la variazione su tema di un modello replicabile, tale e quale, all’infinito. Non c’è da rifare le stesse scelte, impresa impossibile, ma da imparare che le condizioni al contorno per “il successo” si possono costruire con fatica, serietà e mezzi minimi. Molti di questi mezzi non ci sono sottratti, ma tenderanno a diffondersi sempre più, come nel caso della rete. Difficilmente i costi di internet aumenteranno, ad esempio. A parte questo dettaglio, ho letto di una perfetta attitudine a non comprendere la rete come spazio culturale (come nei commenti a questo post di Babsi), a non capire quali siano i vantaggi di un rapporto più diretto con i lettori, e più paritario (esempi: il diritto del lettore a farsi scrittore, il diritto dello scrittore a farsi lettore: diritti effettivi, non proclamati). Lo spazio culturale è, per definizione, uno spazio sociale. La letteratura ha bisogno di una lingua, di idee e di un tempo, il presente: perciò è, in senso stretto, ideologia di un’epoca. Dunque il romanzo storico non può contenere ideologia? Sì, invece, la può contenere e la contiene. Posso scrivere nel 2005 una storia ambientata durante la Rivoluzione Francese: non per questo il mio occhio diventerà l’occhio di un rivoluzionario parigino, né la mia mano si armerà di lama, ma seguiterà nel solito lavoro. D’altra parte, lo spazio culturale è creato soltanto all’interno di una comunità, e quanto meglio funziona la comunità, tanto più alto sarà il livello culturale che essa produce (e questo mi pare incontestabile). In più, le comunità si caratterizzano per una singolare vocazione: proliferazione dei membri e proliferazione delle idee. E’ soltanto nello scambio culturale che la cultura diviene effettiva e si trasforma in fatto sociale.
Aggiornamento1: discussioni in corso qui e qui
Aggiornamento2: dalla discussione su Vibrisse, questo intervento di Wu Ming1:
Tra i "letterati" è poco in voga la
comunità. Al contrario, è parecchio in voga il clan, la cricca, il cenacolino,
il conciliabolo, l'unione temporanea tra narcisisti che si dicono a vicenda
quanto sono bravi e incompresi, nel lasso di tempo che precede il loro
scazzarsi e mandarsi a cagare. E' molto in voga l'autonarrazione consolatoria
("Io sono un grande, ma non mi capiscono", "la cultura è morta,
per questo non trovo spazi"), narrazione che diventa ineluttabilmente
*circle jerk* (cioè il farsi reciproche seghe disposti in circolo) e questa
inefficacissima terapia di gruppo viene addirittura spacciata per
"resistenza", le si attribuisce addirittura un qualche valore
"politico".
In questo tipo di comportamenti si sente sì,
il "gelido gravame" del mito dell'autore (mito romantico,
decadentista, "maledettista", ombelicale, in ogni caso tremendamente
egocentrato e "antropocentrico" nell'accezione più negativa
possibile). Pesa diverse tonnellate e curva le spalle proprio di chi si crede
erede di una tradizione di schiena diritte, l'Autore in atteggiamento di sfida
titanica, gambe larghe e pugni sui fianchi, sul promontorio dei secoli.
Sarebbe ora che i miei colleghi si
"sgravassero" le spalle dal fardello di un'idea di autore che è in
realtà recentissima, e riscoprisse (in questo anche e soprattutto la rete può
aiutare) la dimensione *ecocentrica* dello scrittore. "Eco" viene da
"oikein", abitare: lo "scrittore residente" di cui parla
Peter Bichsel, il poeta/narratore come membro di una comunità, anzi, di tante
comunità a cerchi concentrici, erede di figure che esistono dall'alba dei
tempi, dall'aedo al griot, dal bardo al trovatore, dal cantastorie al puparo
etc. La scrittura, la poesia, la narrazione come *doni alla comunità* e come
mestiere di vivere con gli altri.
[La poesia che torna "ad alta voce"
è un altro dei segnali di una presa di coscienza in questo senso. Peccato che
alcuni autori "razzolino bene e predichino male", nel senso che sono
in grado di fare serate belle e di nuovo *ecocentriche*, eppure teorizzano il
peggior *antropocentrismo* artistico e *umbilicocentrismo* autoriale.]
Per una piena riscoperta dell'ecocentrismo in
letteratura, occorre scollarci dalle ossa i muscoli infiammati e rattrappiti.
Serve un massaggio energico. La rete ci costringe a fare i conti con una
dimensione di "apertura" e ci sfida a confrontarci con nuove
possibilità, col costante rischio di "sbracare". Ci obbliga a cercare
un equilibrio. Ci costringe a mettere in discussione l'ego, a relativizzare la
figura dell'Autore. Per questo, nonostante tutto, la amo come la pupilla dei
miei occhi, come la pupilla degli occhi di tutti.
Smettila di avere ragione! ;-)
Posted by: gianni biondillo | October 21, 2005 at 10:49 AM
Gianni, quando mi avevi fatto la stessa battuta?
Posted by: Ivan | October 21, 2005 at 01:58 PM
Quanto meno sono coerente, no? ;-)
(lo so, lo so... Oscar Wide: "la coerenza è la virtù degli imbecilli...)
Posted by: gianni biondillo | October 21, 2005 at 02:10 PM
Gianni, ti faccio notare che oggi nessuno ti ha ancora tirato in ballo a sproposito
Posted by: Ivan | October 21, 2005 at 02:12 PM
“D’altra parte, lo spazio culturale è creato soltanto all’interno di una comunità, e quanto meglio funziona la comunità, tanto più alto sarà il livello culturale che essa produce (e questo mi pare incontestabile). In più, le comunità si caratterizzano per una singolare vocazione: proliferazione dei membri e proliferazione delle idee.”
Caro Ivan, non intervengo in una discussione che più che 'comunitaria', mi sembra, francamente, debordante – in tutti i sensi in cui vuoi intendere l'aggettivo. Scrivi questo passaggio e citi altri che parlano di comunità.
Io non penso che la 'comunità' crei uno spazio culturale e che meglio funziona più produce un livello culturale più 'alto' – per usare le tue parole. Né penso che le comunità si caratterizzino per una proliferazione dei membri e delle idee. Al contrario, penso che solo in una orizzontalità (non alto-non basso), nella condivisione della scrittura, si produca 'comunità'. Wu Ming è questo.
In questo non c'è proliferazione dei membri, ma con-divisione delle idee e della pratica di scrittura che, solo a queste condizioni, diventano scritture 'comuni'.
Non mi appartiene l'idea di una 'comunità' senza questa 'con-divisione'. Non sono scrittore. Ho, dunque, forse altri 'problemi', o forse molto 'simili'.
Quando una volta ho provato a scriverti che bisognava 'con-dividere' per scrivere insieme – quando avevamo progetti 'in-comune'- mi sono ritrovato in silenzio.
E, certo, la responsabilità di non essermi spiegato a sufficienza è la mia.
Ma anche del fatto che, se da un lato la 'rete' è una comunità av-venire, nello stesso tempo la scrittura, come la filosofia, ha bisogno di una 'forza' e di un'amicizia che non si trovano in nessun 'post' come in nessun 'commento'. Anche quello meglio scritto, anche quello meglio 'moderato'.
Posted by: millepiani | October 21, 2005 at 05:26 PM
Emilio: "Io non penso che la 'comunità' crei uno spazio culturale e che meglio funziona più produce un livello culturale più 'alto' – per usare le tue parole"
E dove ho scritto che la comunità crea uno spazio culturale? Da un filosofo mi aspetto precisione. Ho scritto: "lo spazio culturale è creato soltanto all’interno di una comunità". Negalo, però portami l'esempio di uno spazio culturale che non sia creato all'interno di una comunità.
"Caro Ivan, non intervengo in una discussione che più che 'comunitaria', mi sembra, francamente, debordante – in tutti i sensi in cui vuoi intendere l'aggettivo"
In tutti i sensi, in questo caso, non significa niente. Devi proprio dire rispetto a cosa...
"Io non penso che la 'comunità' crei uno spazio culturale e che meglio funziona più produce un livello culturale più 'alto' – per usare le tue parole. Né penso che le comunità si caratterizzino per una proliferazione dei membri e delle idee. Al contrario, penso che solo in una orizzontalità (non alto-non basso), nella condivisione della scrittura, si produca 'comunità'
Questa non è un'argomentazione. Quella che tu ritieni essere una mia affermazione non è in contrasto con la tua; in ogni caso, conosco esempi di comunità non orizzontali, quindi non sono neppure d'accordo con la seconda. D'altra parte ti invito a giustificare ciò che sostieni. Insisto, in ogni caso: ho scritto che lo spazio culturale si crea ALL'INTERNO della comunità. Emilio, rileggimi.
"Quando una volta ho provato a scriverti che bisognava 'con-dividere' per scrivere insieme – quando avevamo progetti 'in-comune'- mi sono ritrovato in silenzio."
A me sembra che ti sia ritrovato una risposta pubblica. Emilio, non ho capito nulla di quello che scrivesti all'epoca (non credo sia importante di chi fosse la responsabilità, è importante che il messaggio non poteva arrivare al destinatario o ai destinatari). Oltretutto, scrivere-in-comune, trattini compresi, deve essere spiegato, a meno che tu non epliciti i riferimenti (fino ad allora, come è ovvio, io faccio come se non avessi mai letto niente).
"Ma anche del fatto che, se da un lato la 'rete' è una comunità av-venire, nello stesso tempo la scrittura, come la filosofia, ha bisogno di una 'forza' e di un'amicizia che non si trovano in nessun 'post' come in nessun 'commento'. Anche quello meglio scritto, anche quello meglio 'moderato'."
Non ho capito nulla della frase finale; di quanto scrivi prima ti dico solo che:
sulla forza sono d'accordo, sull'amicizia non sono sicuro di aver capito cosa c'entri.
Posted by: ivan | October 21, 2005 at 05:43 PM