Un inatteso clamore di voci familiari: sono tutti qui, ben occultati. Sarà per un’imboscata o per una sorpresa? Il mio volto stupisce e la mia voce squittisce, ma non genera verbo di senso compiuto. Agile di bocca, un tempo rattoppavo i pensieri orribili con parole smaglianti e vuote: sterilizzavo gli appestati che abitavano in quei luoghi presunti e inesistenti. Datemi una penna. Adesso è arrivato l’istante in cui ogni cosa mi appartiene, e non durerà. E’ finito. Prendete la penna, bravi, prendetela per la coda, addestratela e non morderà, istruitela e vi ricambierà con il sapere scritto. Non era altro che tradizione quella che vi frullava in testa, e tradizione malintesa e stravolta. Voi dite di non capire? Io non capisco dove sia la novità. Pausa. Stanchezza, e in gola nient’altro che fumo. Si tende ad escludere che vi sia dell’altro, nella gola o nel reparto dedicato al pensiero. Fumo significa che sostanza ha bruciato; si è strinato quel poco di tessuto; si è appiccato un incendio, e qualcuno soffiava. Fiato sprecato, per non far bofonchiare un uomo raramente affascinante, il più delle volte esasperante e molesto. Dovrei rendere una confessione, cosa a mala pena credibile per un ateo. Non mi si prenda sul serio, e visto ciò che comunemente si intende per serietà non mi sentirò oltraggiato. Il mio rancore è un esercizio di logica con un voto scarso. Sono il terzo da sinistra, l’uomo spossato. Sono anche il terzo da destra; infine, sono l’uomo al centro, un individuo all’apparenza sano ma completamente marcio, a partire dallo sperma: per cui mi è facile versare depravazione e trasmettere immoralità. Mi basta calibrare una sega, come scrissi in un picco di empietà dopo avere costretto la vergine di cui sappiamo, madre di chi sappiamo, a inginocchiarsi per i miei scopi. Di più non sapeva fare, perché lo Spirito Santo non le aveva insegnato i rudimenti dell’arte amatoria: l’aveva subito incendiata di pietà, per sottrarla alle zampe dei maschi rapaci. Anche la vergine a suo modo bruciò: ma non fece fumo e lasciò una mole di menzogne, in seguito rilegate. Se la follia che si concentra in un libro può infestare il mondo con irrisoria facilità, cosa c’è da sperare dalle parole? E lo scrittore, non sarà uno scellerato della peggiore specie? Prendi un testo a caso in una biblioteca a caso: leggi le prime pagine: ti viene spontaneo chiederti: perché dovrei credere a costui? Si dà, dalla prima pagina, arie da testimone. Egli sostiene qualcosa. Egli sostiene sempre qualcosa. Il segreto di tanta loquacità è l’arroganza: lo scrittore è cosa garrula e insolente. O superbo o muto. O petulante o ipocrita. Il bastone è sottinteso nella penna. Non è il caso di rifiutare tutto: i testi sacri sono un castigo della ragione, e quando dio minaccia proclama in realtà la propria impotenza. Solo così può esistere, attraverso la paura che si incarna nel credulone. Milioni di ingenui sono il materiale umano su cui ogni profeta esercita la professione, nel momento in cui sfodera la parola ambigua ed elargisce consegne spirituali ovviamente incomprensibili. Tuttavia, non ogni autore è una scimmia male intenzionata e barricata nelle religiose valli. Luoghi ameni e impossibili. Il fatto che egli, l’autore, sia pur costretto a credere in qualcosa, è tanto vero quanto banale. Ma non si confonda dio con qualunque cosa, al solo scopo di affermare che chiunque scriva stia manifestando un’inconsapevole adesione alla stessa beatitudine, cercando nuovi nomi per quel cielo debolmente offuscato. Balle, confortevoli balle. Pausa.
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